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giovedì 19 marzo 2009

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La locuzione latina stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ("la rosa fin dall'inizio esiste solo nel nome: noi possediamo soltanto nudi nomi") è una variazione di un verso del De contemptu mundi di Bernardo Morliacense, monaco benedettino del XII secolo. L'esametro deve la sua fortuna a Umberto Eco che ne ha fatto l'ultima frase del suo romanzo Il nome della rosa.

Il verso, che ha dato origine al titolo dell'opera, è stato spiegato dallo stesso Eco in Postille a "Il nome della rosa": «Bernardo varia sul tema dell'ubi sunt (da cui poi il mais où sont les neiges d'antan di François Villon) salvo che Bernardo aggiunge al topos corrente (i grandi di un tempo, le città famose, le belle principesse, tutto svanisce nel nulla) l'idea che di tutte queste cose scomparse, ci rimangono puri nomi».[1]

Da notare che il verso originale di Bernardo è leggermente diverso, poiché recita stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus.[2] La traduzione di questa frase è: "Roma antica esiste solo nel nome...". Pertanto la traduzione letterale del verso di Eco sarebbe analoga, ma nel tentativo di dargli maggior senso e significato ne sono state date diverse interpretazioni tra le quali quella riportata nel primo capoverso, la quale richiama in quel "fin dall'inizio" la tesi filosofica realista di Guglielmo da Champoux, opposta a quella nominalista espressa dal verso. Infatti Guglielmo sosteneva che gli universali esistono ontologicamente già prima degli individuali. Al contrario il verso sostiene che fin dall'inizio c'era il solo nome dell'universale, al quale è poi seguito il particolare. Traducendo letteralmente il verso di Eco si intende invece sottolineare che al termine dell'esistenza della rosa particolare non resta che il nome dell'universale. Questa versione si contrappone anch'essa alla teoria di Guglielmo, il quale sostiene anche che gli universali esistono ontologicamente anche dopo i particolari.

... grief boundeth where it falls,
Not with the empty hollowness, but weight:
I take my leave before I have begun,
For sorrow ends not when it seemeth done.
Commend me to thy brother, Edmund York.
Lo, this is all:--nay, yet depart not so;
Though this be all, do not so quickly go...

Il dolore, quando cade, rimbalza; non perché sia vuoto
ma proprio a causa del suo peso.
Mi congedo da te
prima d'aver ancora cominciato;
perché il dolore non finisce mai,
anche quando ti par che sia passato.
Saluta tuo fratello Edmondo York...
Beh, questo è tutto... Eppure, no, no, aspetta,
non andar via così... Sì, questo è tutto...
Però non te ne andare così in fretta...


W. Shakespeare, riccardo II, atto I, scena II

mercoledì 11 marzo 2009

posizioni tromba

FA#      1-2-3

SOL     1-3

SOL#    2-3

LA        1-2 o 3 anche se lievemente calante

SIb       1

SI         2

DO       nessun pistone

DO#     1-2-3 con le due pompe fuori per tenere l’intonazione

RE       1-3 con la pompa del 3 fuori per tenere l’intonazione

MIb       2-3

MI        1-2 o 3 anche se lievemente calante 

FA        1

FA#      2

SOL     nessun pistone

SOL#    2-3

LA        1-2 o 3 anche se lievemente calante

SIb       1

SI         2

DO       nessun pistone

DO#     1-2 o 3 anche se lievemente calante

RE       1

MIb       2

MI        nessun pistone

FA        1

FA#      2

SOL     nessun pistone

SOL#    2-3

LA        1-2 o 3 anche se lievemente calante

SIb       1

SI         2

DO       nessun pistone

 

lunedì 2 marzo 2009


Sabato 28 febbraio ho visto il Teatro Massimo ristrutturato. Com'era? Un teatro. Nessuna nostalgia per quello che ricordavo (devo averci visto qualcosa tipo Peppantiogu s'arriccu, l'ultima volta), nessun brivido per quello che è ora. Ha la caratteristica di tutti i teatri: voler assomigliare a tutti i teatri e in questo riuscire a essere unico. 
Marmi, sculture arnaldopomodoresche, stewarding arcigno e servizio bar. Niente da dire. Evidentemente posti così servono ancora.  Ma a me annoiano profondamente. All'uscita un gruppo di cittadini commentava lo Slava's snowshow. Cito testualmente il commento entusiasta: "Be' spettacoli così... la fantasia... la delicatezza... la poesia... la creatività... l'artista... la magia..." e via dicendo. Un verbo, manco a pagarlo. Perché manca l'azione. Perché dentro il teatro non si fa più drama. E neanche si trama. Magari. Si bivacca. Non voglio lavorarci più nei teatri, non ha davvero nessun senso. Risulta dannoso senza riuscire ad essere rilevante. Lunedì prossimo vado a proporre l'idea di role-play pessoano ai ricercatori di "realtà aumentata". E vediamo un po' se riesco a farci passare qualche impulso in questo elettroencefalogramma silente.

Parabola delle dieci vergini

[1]Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. [2]Cinque di esse erano stolte e cinque sagge;[3]le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; [4]le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi.[5]Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. [6]A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! [7]Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. [8]E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. [9]Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. [10]Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. [11]Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! [12]Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. [13]Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.                                      Matteo - Capitolo 25 

domenica 1 marzo 2009

NORTHUMBERLAND: ... nel veleno c'è anche il rimedio, e queste notizie, le quali, se fossi stato in salute, mi avrebbero fatto ammalare; essendo, come sono, ammalato, mi hanno, in qualche misura, rimesso in salute.

W. Shakespeare, Enrico IV, Atto I, scena I. Traduzione di Gabriele Baldini per B.U.R. 1954